Era sempre seduta in fondo alla classe, le esili spalle chiuse in avanti sembravano faticare a reggere il delicato peso delle ciocche corvine che, a intervalli regolari, scostava con le lunghe e affusolate dita, martoriate dal vizio di mordersi le unghie. In realtà erano i suoi pensieri a gravarle addosso, era il peso di sopportare la sofferenza degli altri a darle tormento. Non che lo volesse, affatto. Eppure non poteva farci niente, ogni qual volta che si ritrovava a guardarsi intorno, con aria smarrita, vedeva il lato oscuro delle cose: un abbraccio che odorava di falso, un sorriso che nascondeva disagio, un’anima martoriata dalla vita che stava per spegnersi…
Se ne stava sempre zitta, con la sua moleskine tra le mani, sembrava spettatrice passiva della vita, relegata dietro a quell’epidermide color del latte che, non appena la interpellavo, si colorava di un rosso tenue sulle guance.
Eppure era la mia studente più brillante.
Il giorno che dovette trasferirsi con i genitori in Germania, mentre mi salutava con un insolito abbraccio, lasciò cadere nella mia borsa la sua agenda, me ne accorsi una volta a casa quando, rovistando per cercare le chiavi, la trovai.
Le pagine erano un susseguirsi di riflessioni, di sensazioni e tormenti. Erano un sunto realistico della vita di qualsiasi essere umano lei avesse incontrato nel suo cammino. Mi ritrovavo tra le mani una finestra dalla quale guardare il mondo, affacciata sul sensibile spettacolo dei sentimenti.
Fu però quando una sera, illuminata dal calore del camino, arrivai alle ultime pagine di quel diario, che tutto si fermò per un istante. Il mio nome spiccava in alto al foglio, scritto in rosso, seguito dalla frase: questo è il regalo che le voglio fare, professoressa, in cambio di tutto ciò che mi ha insegnato.
Lessi più volte ciò che vi era scritto e, per la prima volta, sentivo d’esser nuda, vulnerabile e spaurita.
Le mie lezioni da quel momento in poi cambiarono, avevo capito che per crescere non bastava la teoria, i numeri e la ragione, il mondo era già fin troppo pieno di automi colti ma veramente troppo poco intelligenti… da quel giorno promisi a me stessa che avrei insegnato prima di tutto a diventare esseri umani.
Carlo Galli